TRASFIGURATION: Oliver de Sagazan


Mostro? Creatura mitologica? Incubo? O semplicemente un uomo disperato in cerca del proprio volto, della propria identità. Oliver de Sagazan, con “Trasfiguration” mette in scena uno spettacolo che ghiaccia il sangue, con davvero pochi elementi come l'argilla con cui si costruisce e muta i suoi molteplici volti e le vernici rosse e nere con cui crea occhi e bocche ai nuovi visi appena creati. Riesce a trasformarsi e mutarsi in continuo bilico tra mostruosità e normalità, fino a farli diventare un tutt'uno indistinto.

Tutto lo spettacolo è completamente imprevedibile, ti mette addosso una tensione che ti lascia sulla seggiola con lo sguardo fisso sul personaggio; perché esso, può fare qualcosa di familiare (come mettere in scena l'atto di lavarsi) e tutto d'un tratto cambiare umore e contesto, e quindi si deforma immergendosi in una crisi di rabbia e di frenesia, che trovolge lo spettatore facendo provare un forte senso di angoscia, che ti rimane dentro anche dopo lo spettacolo.

Nella maggior parte dei casi siamo abituati a vedere il volto di coloro che mettono in scena uno spettacolo, anche con la maschera riesci sempre a immaginare che sotto di essa c'è un rassicurante viso umano. In Transfiguration invece l'autore riesce a mutare così tanto il suo volto da rendere difficile allo spettatore  pensare che esso sia ancora umano. Mi sono sentito molto, ma molto rassicurato quando alla fine si è visto il vero volto dell'attore emergere dalla creta..

Impressionante anche la bravura nel modellare l'argilla, i movimenti del personaggio apparivano confusi e frutto della frenesia e dell'improvvisazione  ma sotto c'erano dei passaggi e dei movimenti studiati nei minimi dettagli.

Con questo spettacolo l'autore vuole, secondo me, mostrare un altro volto dell'essere umano, un volto mostruoso e mutevole che si nasconde al nostro interno e che, se esce fuori, dirompe e ci porta in balia delle nostre emozioni più profonde.
L'imprevedibilità, la tensione e l'angoscia sono elementi caratteristici di questo spettacolo e sono anche le sensazioni che più ti rimangono impresse nella mente ripensando a questo spettacolo.

Pensando che con dell'argilla e con pochi altri materiali comuni sia riuscito a creare un opera così angosciante e piena di tensione non voglio immaginare cosa potrebbe fare questo attore se avesse a disposizione un set cinematografico ed effetti speciali digitali.  (Boris Croci)



Una metamorfosi con-creta

In mezzo al palco una tavola metallica in verticale, dietro buio e passi pesanti. Emerge un uomo, mezz’età, giacca e cravatta, esce dal buio e si siede davanti al metallo, circondato da vasi e creta. All’inizio è una cantilena sottile, un pugno di gesso secco lanciato in aria, poi un po’ di creta sulla guancia, su tutta la faccia, poi uno strato più spesso, che inghiotte il naso e gli occhi, lasciando libera la bocca, che continua a parlare, un borbottare secco, veloce, meccanico.
La superficie liscia e omogenea di questo nuovo volto è plasmata dalle mani dell’uomo che, alla cieca, cerca di darsi una nuova forma dopo aver eliminato i tratti donatigli dalla natura. Al grigio si aggiunge il colore: le dita s’immergono nei vasi e recuperano nero per gli occhi e rosso per la bocca. Da tratti umanoidi il volto degenera coperto da solchi, linee, macchie, e con essi aumenta il malessere del personaggio. Uno scatto d’ira è lo squarcio nella maschera, l’uomo si strappa tutto il suo lavoro, lanciandolo poi non a terra ma dietro di sè, contro la lastra che fa un suono metallico.  Poi riparte. Prosegue, si toglie giacca, cravatta, camicia e comincia a modellarsi anche il busto. Poi, dopo un ultimo sfogo, abbandona la scena, lasciando sulla lastra l’immagine di un mostro di creta, senza più un uomo sotto. Il pubblico nelle prime file riceve schizzi di creta e vernice, e tutti vengono investiti dalla violenza scaturita dall’oppressione dell’identità di una persona che all’inizio appare ordinaria, come tutti noi.

(Testo: Marzio / Foto: Laura)


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