Spectacular, morte e finzione
di Martina
Un
attore travestito da scheletro entra in scena in modo un po'
impacciato, ed inizia a spiegare al pubblico che questo spettacolo
sarà diverso dal solito. Perché la band e i ballerini sono assenti,
la scenografia manca, le luci e la musica non sono giuste.
Lo
scheletro racconta senza interruzioni, si perde in particolari, in
ripetizioni continue.
Spiega
quello che lo spettacolo dovrebbe essere, quello che potrebbe essere.
Un musical, dove lui ha la parte del protagonista, ma dove sono
presenti anche altri personaggi, con una ricca scenografia, la musica
che accompagna lo show, le luci che sottolineano la spettacolarità
della pièce. Spectacular.
Invece
sul palco nulla è spettacolare.
Finché
entra in scena Claire, che senza grandi presentazioni dichiara di
essere entrata in scena per mettere in atto la sua morte, che si
protrae sul palcoscenico per forse un'ora. Claire si dispera, è
dolorante, ansimante, cade a terra morta, più di una volta, in modo
sempre più plateale, spettacolare, rumoroso, invadente. I livelli di
isterismo teatrale variano nel corso della sua performance, lo
scheletro intanto continua il suo monologo, riflettendo sulla
situazione psicologica degli attori in scena, sulle reazioni del
pubblico, sullo scopo del teatro. È la finzione teatrale a lasciarlo
perplesso, la volontà teatrale di voler dare per reale quello che è
solo finzione.
Questo
tema ricorre continuamente durante lo spettacolo.
La
morte di Claire è finzione; lo scheletro lo ripete più di una
volta, durante un urlo di Claire, che si dimena sul pavimento. Come
dire: non metterci tutto questo impegno, Claire, tanto è tutto
finto. Il costume è finzione (e non è nemmeno troppo bello, a dirla
tutta); l'attore ci descrive come si sente ad avere un vestito del
genere addosso. Quindi non abbiamo davanti solo uno scheletro, ma
anche l'attore che interpreta lo scheletro.
Insomma,
tutto perde consistenza, tutto diviene futile. La finzione è
tradita, non ha più senso.
Le
nostre aspettative come spettatori vengono completamente sconvolte, e
ci troviamo a riflettere sulla morte e la nostra mortalità.
Questo
meccanismo di rivelare la finzione, qui portato ad un livello
estremo, ricorda il processo brechtiano dell'alienazione. E ricollega
lo spettacolo a quello di Jerôme Bel, che ha trascinato sul
palcoscenico – luogo teatrale di finzione per eccellenza -, il
momento reale di incontro tra attori e regista, che noi abbiamo visto
in finzione, ma che è stato, la prima volta, reale.
Anche
la performance con l'argilla di Olivier de Sagazan, in continua
ricerca di un aspetto “più vero”, si ricollega alla finzione.
Se
mi riesce difficile trovare il senso di Spectacular,
spettacolo che mi ha annoiata e mi ha lasciato perplessa, mi riesce
invece più facile collocarlo all'interno del FIT, dove abbiamo
assistito a spettacoli che hanno totalmente messo in discussione la
finzione teatrale, sconvolgendo la mia ingenua aspettativa di un
teatro facile e di immediata assimilazione.
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