"The Last Supper", Markus Zohner


“Sto soffocando e vomitando dal sange che ho bevuto. Ho bevuto il suo sangue, mamma! 

Gli ho tagliato due pezzi e pi ho bevuto il suo sange, mamma! Il tuo latte ora è mescolato con il sangue”
 

Che colore abbinereste alla parola “guerra”? Molti probabilmente rispon-derebbero rosso (riferito al sangue). 

Questa immagine del “sangue” infatti si presenta immediatamente allo spettatore che prende posto a sedere e che non è dei più invitanti. Subito incontriamo un cartellone con la “ Pane, Sale e Cuore” e sotto di essa, sopra un tavolo troviamo proprio gli elmenti: una pagnotta, un mucchietto di sale e addirittura un cuore vero (quello di una mucca).

Tutt’intorno, appesi con dei ganci da macellaio, altre parti del corpo della mucca: lo zoccolo, il fegato, la coda e persino la testa.

Questo spettacolo di cui Zohner segue la regia, è rappresentato da sette attori kossovari, o meglio sei visto che un attore è stato rimpatriato in Kosovo perché fermato alla dogana Svizzera in quanto il suo nome era il medesimo di un uomo ricercato.

Gli attori raccontano nella loro lingua diverse storie di esperienze e avvenimenti vissuti nel periodo di guerra in Kosovo (1996- 1999).
Alcune di queste sono storie “reali”, mentre altre sono di pura fantasia: racconti di figli uccisi, donne stuprate, la figlia che ha visto morire la madre, ecc…

A disposizione del pubblico che non comprendeva la lingua c’erano in tre diversi spazi della sala i sottotitoli in italiano, proiettati sulle pareti.
È però evidente che osservare gli attori e allo stesso tempo leggere i sottotitoli è un’impresa al quanto scomoda oltre a impedire l’espressività degli attori.
Quindi, sebbene gli attori fossero a mio parere bravi, perché convincenti e concentrati sui loro ruoli, questo dover
leggere continuamente i sottotitoli (che a volte non erano sempre coordinati con in monologhi – pezzi degli attori) era di disturbo.

Peccato inoltre che, non essendo lo spettacolo rappresentato sul palco, ma fatto su una pedana rialzata, a volte si avevano gli attori di spalle.

Lo spettacolo era composto anche da alcune coreografie di ballo abbastanza violente tra due uomini e un uomo e una donna in cui la donna veniva afferrata dall’uomo e dove entrambi sembrano in preda a un combattimento in cui si schivano a vicenda.

Lo spettacolo termina con una scena che personalmente mi ha colpito molto. Uno degli attori prende in mano la ciotola contenente del sangue che ha davanti a sè appoggiata su un piedistallo di legno, beve versandone parecchio sul suo torso nudo e i pantaloni.

Alla fine gli artisti e il regista restano a disposizione del pubblico con una ragazza che funge da traduttrice; anche se poi il fotografo stesso (amico degli artisti) entra nel discorso.
Alla domanda di uno spettatore che chiede se il Kosovo ha perdonato (i serbi), gli attori rispondono: SÌ, anche se per le donne stuprate forse è diverso; a rispondere è un’attrice.
Queste ultime devono ancora perdonare ma probabilmente lo faranno col tempo, anche se dimenticare è difficile.

Personalmente ho trovato lo spettacolo un po’ crudo. L’aspetto linguistico poi, non ha purtroppo trasmesso il vero valore e il messaggio importante sul significato della guerra.



Laura Lucini 





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